Fino a qualche tempo fa con
l'espressione risk free identificavamo quel benchmark di rendimento collegato ai
titoli a “rischio nullo”: per
antonomasia i titoli di stato (T-Bond). Il risk free (d'ora in avanti rf)
rappresentava quel cuscinetto sicuro al di sotto del quale i rendimenti dei
propri risparmi o investimenti non sarebbero mai andati. Lo stesso indicatore
era ed è alla base dei principali teoremi finanziari che studiano le
combinazioni rischio rendimento. Per esempio, nel modello del CAPM (Capital
Asset Pricing Model), si conviene nell’identificazione del Market Risk Premium
come quella componente aggiuntiva di rendimento dato per accettare un rischio d’investimento
maggiore del risk free. È come se dovessimo dare un prezzo a due opzioni del
tipo: percorrere una strada più lunga dell’altra. Sicuramente, caeteris paribus,
percorrere la strada più lunga avrà un prezzo maggiore rispetto l’opzione di
percorrere quella più breve. Nello stesso modo, accettando un rischio maggiore,
l’investitore razionale pretenderà un rendimento maggiore rispetto ad una
attività priva di rischio.
Quello che sta accadendo negli
ultimi tempi sembra davvero stravolgere tutte le teorie finanziarie fino ad ora
elaborate. È mai davvero possibile che l’incremento esponenziale del rendimento
dei titoli di stato italiani e spagnoli siano da giustificare nell’aumento
della percezione di rischio da parte degli investitori? Se investire nello
stato rende tra il 6 e il 7% (rf), quanto allora dovrebbe realmente rendere
investire in obbligazioni, azioni, depositi, ecc.?
La risposta unica alle domande che
ho posto a me stesso è semplicemente: “l’opposto”. Prendiamo per esempio il
rendimento di un semplice conto deposito (min. 2 max 5%),le obbligazioni di
importanti aziende italiane (es. Eni max 6%). Il paradosso va ricercato nel
fatto che, il maggior rendimento richiesto
per accettare maggior rischio (MRP) sia diventato meno remunerativo di un risk
free. Sarebbe azzardato dire che il MRP e il RF si sono scambiati i ruoli?
Un ulteriore pagina della storia
della finanza sembra si stia scrivendo negli ultimi tempi. I paradossi più
eclatanti vanno dall'eccessiva volatilità dei titoli di stato italiani e
spagnoli al rendimento negativo registrato negli ultimi giorni dai titoli di
stato tedeschi: rendimento negativo. Vediamo nel dettaglio cosa vuol dire.
Significa che gli investitori, pur di mantenere una posizione di “sicurezza”
del proprio capitale preferiscono investirlo in attività a rendimento zero
(negativo al netto dell'inflazione) piuttosto che mantenere posizioni liquide,
sicuramente più esposte alle impennate inflazionistiche di breve periodo. Nella
posizione opposta invece, troviamo i titoli italiani e spagnoli, fortemente
colpiti dalla speculazione finanziaria degli ultimi tempi, si tratta di bond
che, pur garantendo un determinato rendimento a breve, medio o lungo termine,
sono altamente influenzati dalle oscillazioni di prezzo del valore nominale.
Nello specifico, quando i tassi di
rendimento dei titoli di stato aumentano a causa di un incremento del rischio
percepito dagli investitori, il relativo valore nominale diminuisce.
In pratica, nello scenario economico
attuale, investendo in obbligazioni di stato ad alta volatilità significa
accettare un rischio perdita alto, specialmente nel breve periodo. Il rendimento
(certo) che assicura lo stesso titolo, potrebbe essere cancellato dalla
variazione del valore nominale dell'attività sottostante.
È davvero giusto continuare a parlare
di titoli di stato come investimenti risk free?
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