Negli ultimi tempi, a causa della
contrazione del mercato del lavoro e della pungente crisi economica,
tante piccole realtà imprenditoriali cercano la loro opportunità per nascere e
svilupparsi, in parole povere: “tanta voglia di start-up”. È sicuramente
positivo, in particolar modo per i giovani avere la capacità di pensare e
sviluppare soluzioni innovative da trasformare in concrete realtà imprenditoriali,
nello stesso tempo però la scarsa conoscenza e l’eccessiva aleatorietà del
percorso imprenditoriale che si vuole seguire sono causa di insuccesso dell’iniziativa.
L’errore più comune che si
commette nel voler diventare imprenditori è omettere al nostro “spirito del
fare” alcune domande fondamentali. Si è infatti portati ad immaginare quale
sarà il risultato finale della nostra iniziativa piuttosto che quale sarà il
percorso da seguire per arrivare al conseguimento di un risultato specifico. Nella
mia esperienza da consulente, ho incontrato spesso tanti ragazzi pieni di idee
e tanta voglia di fare ma carenti di metodo, significa: aver incontrato
potenziali imprenditori che avevano in mente un “ideale”, diverso dall’idea, senza
gli strumenti conoscitivi atti alla realizzazione.
Credo fermamente che, il percorso
di un giovane imprenditore nella nascita di una Start-up sia complicato e pieno
di insidie da superare, l’idea d’impresa comporta sacrifici, in primis di tipo
economico ma anche di tempo da dedicare e soprattutto costanza sul percorso da
seguire, e voglia di conseguire un risultato. È per questo motivo che, nella
fase “embrionale” dello sviluppo di un’idea imprenditoriale, cerco di
comunicare al futuro imprenditore l’importanza dell’autoanalisi attraverso la
risposta ad alcune semplici domande:
1-Come intendi sviluppare il tuo percorso d’impresa; 2-pensi di riuscire a
sopportare finanziariamente l’impresa che andrai a creare; 3- quali sono le
caratteristiche che identificano al meglio il prodotto/servizio che andrai a
offrire; 4- come immagini il risultato finale.
Sono delle semplici domande che
contraddistinguono chi effettivamente è in grado di diventare imprenditore e
chi no. Del resto, il ruolo che identifica il “prenditore di rischio” non è per
tutti, non si tratta di una discriminante sulle capacità individuali, bensì consapevolezza
di comprendere come non possiamo essere tutti imprenditori, tanto quanto tutti
dipendenti. Un sistema economico efficiente di fatti, si compone di buoni
imprenditori e buoni operai, ad ognuno il ruolo che gli compete…
Ritornando alla nascita dell’idea
d’impresa accomunata da individualità davvero predisposte, è bene evidenziare
come, nello start-up, spesso e volentieri non si è in grado di agire, è come se
tante belle idee rimanessero appese ad un albero. È proprio questa, a mio
modesto avviso, una delle fasi fondamentali per lo sviluppo dell’idea, solamente una consulenza mirata e in grado
di comprendere una buona parte della variabili, può essere di notevole aiuto.
Herbert Alexander Simon, una
delle più fulgide menti del secolo scorso, affermava che: “Gli uomini
agiscono in catene tendenzialmente ininterrotte di mezzi e di fini, dove ogni
azione serve a prepararne un’altra e queste catene consentono di affermare che,
in linea principio, i comportamenti di umani, e nello specifico i comportamenti
economici-amministrativi, sono orientati da criteri di razionalità limitata…”. L’obiettivo di questa citazione è importate
per comprendere il ruolo “della razionalità limita” che l’imprenditore, nella
fase di “eccentrica enfasi iniziale” potrebbe avere.
Penso quindi che, lo sviluppo e la nascita d’impresa debbano seguire un
percorso ben definito: da una parte un attento studio e mappatura logica dei
processi economici e amministrativi (ruolo che dovrebbe coprire il consulente),
dall’altra, il vero imprenditore libero di sviluppare e testare le diverse
congetture teoriche e pratiche della sua business idea.
LS
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