La
storia ci ha insegnato che ogni qualvolta una banca centrale fosse intervenuta nella
politica monetaria di uno Stato attraverso un'operazione di mercato aperto (acquisto
di titoli di stato) sarebbe equivalso a dire: si sta tentando di stimolare la crescita dell’economia attraverso
l'abbassamento dei tassi d’interesse.
Se considerassimo quello che sta
accadendo oggi, ci accorgemmo che, il principio di funzionamento base della
politica monetaria è identico (la BCE acquista titoli di Stato per ridurre i
tassi d’interesse dei paesi in difficoltà), non lo è la ragione sottostante
tale strategia. L'utilizzo di una politica di mercato aperto volta a combattere
la speculazione finanziaria viola qualsiasi principio atto giustificare tale
azione.
Ad oggi, il dubbio principale
verte essenzialmente sul buon funzionamento o meno dello scudo anti-spread. Si tratta di una strategia di politica
monetaria che ha come obiettivo primario quello di proteggere i paesi
appartenenti all'Unione Europea da attacchi speculativi.
In pratica, quando richiesto, il
paese interessato può fare ricorso allo scudo in modo tale da sostenere al rialzo il prezzo dei propri
titoli di stato, e conseguentemente ridurre il differenziale.
Regista e coordinatore di suddetta
politica è la BCE. Questa, oltre a garantire il rifinanziamento dei paesi a
rischio default (esempio Grecia), dovrebbe sostenere con iniezioni di liquidità
i bond dei paesi in difficoltà.
A ben vedere questo tipo di intervento
pone in sé alcune criticità.
Si evidenzia in primis l’inefficienza strutturale del mercato:
l'intervento dello stato nel libero scambio finanziario determina un deficit
nella perfetta allocazione delle risorse. Significa che, chiedere l'aiuto alla
BCE in caso di raggiungimento di un determinato livello di prezzi, equivarrebbe
a invitare a cena investitori e speculatori per un investimento a rischio nullo
e rendimento certo. Sarebbe come dire al mercato: “incentiviamo un movimento
ribassista dei prezzi poiché al raggiungimento di un determinato livello la BCE
riacquisterà sicuramente gli stessi titoli” e provocherà conseguentemente un
aumento dei prezzi e quindi profitto per gli operatori.
In secondo luogo, a porre seri
dubbi sulla bontà dello scudo anti-spread, vi è la possibilità concreta che una
"injection policy" di tale portata determinerebbe sicuramente spinte
inflazionistiche considerevoli, sfortunatamente le risorse della Banca Centrale
Europea pur se cospicue devono andare incontro al presupposto del limite.
Significa che, se l'Unione Europea non vuole incorrere in un'eccessiva
svalutazione dell'euro tanto da renderlo "carta straccia", deve limitarsi
nella produzione di denaro.
In definitiva, lo scudo antispread
potrebbe sì rappresentare una soluzione tampone nel “brevissimo” periodo,
quando il mercato però comprenderà il suo malfunzionamento si adeguerà con la messa
a punto di nuove strategie di “low risk & high yeld,”, semplicemente
arbitraggio.
LS
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