lunedì 23 luglio 2012

Lo scudo anti-spread può davvero aiutare Spagna e Italia a ridurre il differenziale?



La storia ci ha insegnato che ogni qualvolta una banca centrale fosse intervenuta nella politica monetaria di uno Stato attraverso un'operazione di mercato aperto (acquisto di titoli di stato) sarebbe equivalso a dire: si sta tentando di stimolare la crescita dell’economia attraverso l'abbassamento dei tassi d’interesse.
Se considerassimo quello che sta accadendo oggi, ci accorgemmo che, il principio di funzionamento base della politica monetaria è identico (la BCE acquista titoli di Stato per ridurre i tassi d’interesse dei paesi in difficoltà), non lo è la ragione sottostante tale strategia. L'utilizzo di una politica di mercato aperto volta a combattere la speculazione finanziaria viola qualsiasi principio atto giustificare tale azione.

Ad oggi, il dubbio principale verte essenzialmente sul buon funzionamento o meno dello scudo anti-spread.  Si tratta di una strategia di politica monetaria che ha come obiettivo primario quello di proteggere i paesi appartenenti all'Unione Europea da attacchi speculativi.
In pratica, quando richiesto, il paese interessato può fare ricorso allo scudo in modo tale da sostenere al rialzo il prezzo dei propri titoli di stato, e conseguentemente ridurre il differenziale.

Regista e coordinatore di suddetta politica è la BCE. Questa, oltre a garantire il rifinanziamento dei paesi a rischio default (esempio Grecia), dovrebbe sostenere con iniezioni di liquidità i bond dei paesi in difficoltà.
A ben vedere questo tipo di intervento pone in sé alcune criticità.

Si evidenzia in primis l’inefficienza strutturale del mercato: l'intervento dello stato nel libero scambio finanziario determina un deficit nella perfetta allocazione delle risorse. Significa che, chiedere l'aiuto alla BCE in caso di raggiungimento di un determinato livello di prezzi, equivarrebbe a invitare a cena investitori e speculatori per un investimento a rischio nullo e rendimento certo. Sarebbe come dire al mercato: “incentiviamo un movimento ribassista dei prezzi poiché al raggiungimento di un determinato livello la BCE riacquisterà sicuramente gli stessi titoli” e provocherà conseguentemente un aumento dei prezzi e quindi profitto per gli operatori.

In secondo luogo, a porre seri dubbi sulla bontà dello scudo anti-spread, vi è la possibilità concreta che una "injection policy" di tale portata determinerebbe sicuramente spinte inflazionistiche considerevoli, sfortunatamente le risorse della Banca Centrale Europea pur se cospicue devono andare incontro al presupposto del limite. Significa che, se l'Unione Europea non vuole incorrere in un'eccessiva svalutazione dell'euro tanto da renderlo "carta straccia", deve limitarsi nella produzione di denaro.

In definitiva, lo scudo antispread potrebbe sì rappresentare una soluzione tampone nel “brevissimo” periodo, quando il mercato però comprenderà il suo malfunzionamento si adeguerà con la messa a punto di nuove strategie di “low risk & high yeld,”, semplicemente arbitraggio.

LS

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