Lo scorso 6 luglio la
Banca Centrale Europea ha ritoccato al ribasso i tassi di interesse,
contrariamente alle aspettative ha deciso di tagliare il costo del denaro di
250 punti dai 500 previsti, portando così il tasso ufficiale di riferimento
dell’area Euro allo 0.75%. Un record storico mai raggiunto dalla BCE sin dalla
sua nascita. Nel resto delle economie mondiali rappresentate dai paesi
storicamente leader la situazione non cambia, dalla tabella sottostante è possibile verificare i diversi rendimenti adottati.
La tendenza generalizzata è
quella di mantenere un livello del costo del denaro basso per stimolare le
economie. Un trend che ormai perdura da diversi anni e che ad oggi non è in
grado di spiegare come mai gli effetti delle politiche monetarie non siano
capaci di rilanciare i sistemi economici.
Per comprendere tale fenomeno è
importante ricordare come, nei dettami di economia politica, l’intervento delle
banche centrali atto a fornire un input in termini di espansione economica è
detto operazione di mercato aperto. Si tratta di una strategia che
vede le stesse istituzioni acquistare titoli del tesoro determinando così un aumento
della base monetaria e un abbassamento dei tassi di interesse dato dall’incremento
della domanda.
Istituzione
|
Aree di riferimento
|
Tasso di interesse corrente
|
European Central Bank
|
Europa
|
0.75%
|
Federal Reserve
|
Stati Uniti
|
0.25%
|
Bank of England
|
Regno Unito
|
0.50%
|
Bank of Japan
|
Giappone
|
0.10%
|
Questo tipo di piano pone in sé un duplice effetto: da una pare quello
di svalutare la valuta di riferimento (con maggiore probabilità di incrementare
il livello di esportazioni), dall’altra quello di accrescere il rischio di
impennate inflazionistiche.
Riguardo quest’ultimo punto però
la situazione corrente non trova conferma, infatti, viviamo da anni con dei
tassi di interesse bassi che non sortiscono alcun effetto sull’economia reale.
Significa che, nonostante gli sforzi delle banche centrali volti a stimolare la
crescita attraverso l’immissione di moneta nel sistema economico, si registrano
effetti pressoché insignificanti. Cosa vuol dire vivere in un sistema economico
caratterizzato da un basso livello di tassi di interesse?
Sicuramente, maggiore propensione
all’indebitamento per fini di consumo o investimento, minore propensione a forme
di risparmio in titoli governativi (dato il basso livello dei tassi), maggiore
incidenza dei consumi sulla crescita. Effetti teorici apparentemente entusiasmanti,
visti però nella realtà odierna sembrano in netta contraddizione.
Il primo dubbio pertanto potrebbe sorgere dal
fatto che esiste un forte gap tra i tassi di interesse di riferimento della BCE
(oggi 0.75%) e quelli pagati dallo Stato Italiano per finanziare il proprio
debito pubblico. Se dovessimo per esempio ipotizzare un investimento attraverso
l’utilizzo di capitale di debito, per assurdo richiesto direttamente alla BCE
allo 0.75%, e dovessimo reinvestirlo immediatamente in titoli del debito
pubblico italiano, potremmo ottenere un rendimento certo che oscilla tra il 5%
e il 6%. Il punto quindi va ricercato nella struttura e nel funzionamento della
politica della BCE. Essa infatti, a differenza delle altre banche centrali, per
ottenere dei benefici omogenei dovrebbe
ambire alla corrispondenza di rendimento tra titoli del debito pubblico di
tutti gli stati e la politica di mercato monetario da applicare. In altre
parole: EUROBOND.
Nella realtà però accade che, data una
strategia di taglio del costo del denaro di 250 BS, l’acquisto di titoli, dovrà
essere proporzionalmente ripartito su ogni governo che compone l’Euro. Se
infatti la Bank of England acquisterà solamente i titoli britannici, la BCE
dovrà acquistare titoli tedeschi, francesi, italiani ecc. Quanto detto, nel
caso europeo, è fortemente penalizzante data una percezione di rischio differente che gli investitori hanno nei confronti
delle singole economie UE, pertanto questo spiega il perché del differenziale
(spread) esistente tra i vari tassi di rendimento europei.
In sintesi gli effetti di
politica monetaria che la BCE intende perseguire sono ostacolati dai diversi
rendimenti che ogni stato dell’Unione è pronto ad offrire per finanziare il
proprio debito pubblico.
Questa contraddizione che
accomuna gli europei porta a pormi un quesito: che fine ha fatto l’inflazione, “bestia nera” degli anni 70? Una
politica economica da svariati anni “inflation oriented” ha completamente
fallito, oggigiorno sembra che l’inflazione piuttosto che essere considerata il
“male assoluto” possa diventare una opportunità strategica in grado di
traghettarci fuori da questa tempesta congiunturale.
LS
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