martedì 10 luglio 2012

Che fine ha fatto quella "bestia nera" dell'inflazione, incubo degli anni '70?


Lo scorso 6 luglio la Banca Centrale Europea ha ritoccato al ribasso i tassi di interesse, contrariamente alle aspettative ha deciso di tagliare il costo del denaro di 250 punti dai 500 previsti, portando così il tasso ufficiale di riferimento dell’area Euro allo 0.75%. Un record storico mai raggiunto dalla BCE sin dalla sua nascita. Nel resto delle economie mondiali rappresentate dai paesi storicamente leader la situazione non cambia, dalla tabella sottostante è possibile verificare i diversi rendimenti adottati.
La tendenza generalizzata è quella di mantenere un livello del costo del denaro basso per stimolare le economie. Un trend che ormai perdura da diversi anni e che ad oggi non è in grado di spiegare come mai gli effetti delle politiche monetarie non siano capaci di rilanciare i sistemi economici.
Per comprendere tale fenomeno è importante ricordare come, nei dettami di economia politica, l’intervento delle banche centrali atto a fornire un input in termini di espansione economica è detto operazione di mercato aperto. Si tratta di una strategia che vede le stesse istituzioni acquistare titoli del tesoro determinando così un aumento della base monetaria e un abbassamento dei tassi di interesse dato dall’incremento della domanda. 

Istituzione
Aree di riferimento
Tasso di interesse corrente
European Central Bank
Europa
0.75%
Federal Reserve
Stati Uniti
0.25%
Bank of England
Regno Unito
0.50%
Bank of Japan
Giappone
0.10%






Questo tipo di piano pone in sé un duplice effetto: da una pare quello di svalutare la valuta di riferimento (con maggiore probabilità di incrementare il livello di esportazioni), dall’altra quello di accrescere il rischio di impennate inflazionistiche.
Riguardo quest’ultimo punto però la situazione corrente non trova conferma, infatti, viviamo da anni con dei tassi di interesse bassi che non sortiscono alcun effetto sull’economia reale. Significa che, nonostante gli sforzi delle banche centrali volti a stimolare la crescita attraverso l’immissione di moneta nel sistema economico, si registrano effetti pressoché insignificanti. Cosa vuol dire vivere in un sistema economico caratterizzato da un basso livello di tassi di interesse?
Sicuramente, maggiore propensione all’indebitamento per fini di consumo o investimento, minore propensione a forme di risparmio in titoli governativi (dato il basso livello dei tassi), maggiore incidenza dei consumi sulla crescita. Effetti teorici apparentemente entusiasmanti, visti però nella realtà odierna sembrano in netta contraddizione.
 Il primo dubbio pertanto potrebbe sorgere dal fatto che esiste un forte gap tra i tassi di interesse di riferimento della BCE (oggi 0.75%) e quelli pagati dallo Stato Italiano per finanziare il proprio debito pubblico. Se dovessimo per esempio ipotizzare un investimento attraverso l’utilizzo di capitale di debito, per assurdo richiesto direttamente alla BCE allo 0.75%, e dovessimo reinvestirlo immediatamente in titoli del debito pubblico italiano, potremmo ottenere un rendimento certo che oscilla tra il 5% e il 6%. Il punto quindi va ricercato nella struttura e nel funzionamento della politica della BCE. Essa infatti, a differenza delle altre banche centrali, per ottenere dei benefici omogenei dovrebbe ambire alla corrispondenza di rendimento tra titoli del debito pubblico di tutti gli stati e la politica di mercato monetario da applicare. In altre parole: EUROBOND.
 Nella realtà però accade che, data una strategia di taglio del costo del denaro di 250 BS, l’acquisto di titoli, dovrà essere proporzionalmente ripartito su ogni governo che compone l’Euro. Se infatti la Bank of England acquisterà solamente i titoli britannici, la BCE dovrà acquistare titoli tedeschi, francesi, italiani ecc. Quanto detto, nel caso europeo,  è fortemente penalizzante data una percezione di rischio differente che gli investitori hanno nei confronti delle singole economie UE, pertanto questo spiega il perché del differenziale (spread) esistente tra i vari tassi di rendimento europei.
In sintesi gli effetti di politica monetaria che la BCE intende perseguire sono ostacolati dai diversi rendimenti che ogni stato dell’Unione è pronto ad offrire per finanziare il proprio debito pubblico.
Questa contraddizione che accomuna gli europei porta a pormi un quesito: che fine ha fatto l’inflazione, “bestia nera” degli anni 70? Una politica economica da svariati anni “inflation oriented” ha completamente fallito, oggigiorno sembra che l’inflazione piuttosto che essere considerata il “male assoluto” possa diventare una opportunità strategica in grado di traghettarci fuori da questa tempesta congiunturale.

LS

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